L’ARTISTA MARCO MARCHIANI MAVILLA INTERVISTA VLADIMIRO DI MASSA
MARCO MARCHIANI MAVILLA
È nato a Firenze nel 1941. Attivo nel campo della pittura, scultura, libri d’artista. Le sue opere si trovano in collezioni pubbliche e private in Italia, in Turchia, Finlandia, Francia e Stati Uniti. I libri d’artista sono presenti nelle collezioni della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, nella Biblioteca Nazionale del Lussemburgo, Biblioteca nazionale svizzera a Berna e presso la Fondazione Schlesinger di Castagnola (CH).
Vladimiro parlaci del tuo modo di fare arte, delle tue origini artistiche, quali sono i tuoi punti di riferimento?
La mia vita, la mia ricerca artistica, il mio essere artista, senza ombra di dubbio, è stato influenzato dalle avanguardie artistiche del dopoguerra, sopratutto dall’Espressionismo Astratto americano degli anni ‘50, che in seguito creò i presupposti per un nuovo movimento artistico, chiamato “Arte Informale”.
Mi avvicinai con grande curiosità ai maestri dell’Action Painting, in particolare al suo maggior rappresentante Jackson Pollock. Iniziai ad indagare su Roy Lichtenstein, Robert Rauschenberg e ad altri artisti dell’Arte Informale come Mimmo Rotella, Lucio Fontana, che educarono la mia acerba tensione all’arte. Ma chi scatenò maggiormente il mio approccio all’Arte Informale fu senza dubbio Alberto Burri.
L’impatto con quella tendenza definita “Informale materica” fu sconvolgente, tanto da determinare tutti i miei lavori successivi. I miei quadri diventarono sempre più “informali” e si trasformarono in un’incessante improvvisazione, liberandosi, anche se non del tutto, della partenza figurativa, per far emergere con evidenza i valori del gesto, del segno e della materia.
Iniziai a sperimentare quelle tecniche che alla maggioranza degli osservatori fanno pensare al “caos” o alla “casualità”. Invece ogni gesto, ogni segno, anche il dripping, seguivano un percorso mentale, concettuale. Cercando di vedere oltre che con gli occhi della razionalità, anche con gli occhi dell’intuito, forse una delle facoltà migliori della specie umana.
Astratto, figurativo, grafica, foto, materie in forme ben precise, rappresentano il tuo mondo.
C’è qualcosa in comune fra questo mondo artistico e quello della tua professione come Art Director nel mondo della comunicazione?
Nei miei quadri alcune parti sono per così dire astratte, o meglio, evidenziano un percorso verso l’astrazione; sia nella pittura dove il percorso è più evidente, sia in alcune foto che dovrebbero rappresentare la realtà ma, pur mostrandola, manifestano particolari che fanno parte di una realtà elaborata. Le stesse parti figurative, come quelle grafiche e/o fotografiche, assumono una porzione nel quadro, esaltandosi ed esaltando la parte cosiddetta astratta, valorizzando l’insieme, sottolineando le singole soggettività.
Questa nuova ricerca rappresenta molto il mio mondo professionale; ma riflettendoci in maniera cartesiana mi piace rimanere nel dubbio: è la mia professione che ha contaminato il mio modo di fare arte? Oppure il mio modo di fare arte ha contaminato e continua a contaminare la mia professione di Art Director?
Il grande contributo di Cartesio alla filosofia moderna è dato dall’aver posto nel rapporto tra soggetto e oggetto l’Idea: non si conoscono direttamente le cose, ma le nostre idee sulle cose. Condivido questo approccio filosofico, il dubbio è un lungo viaggio; anche se non è fine a se stesso, ma dovrebbe essere funzionale a farci scoprire la verità, la stessa verità che alimenterà un altro dubbio.
Vuoi dire che l’arte può essere un mezzo di emancipazione, quasi fosse un percorso verso l’autoconsapevolezza?
Perché no? Tengo a precisare un aspetto fondamentale che rende l’arte in generale così straordinaria: non esiste nella storia dell’arte un’avanguardia artistica che non abbia attinto, spiritualmente e tecnicamente, dalle altre precedenti avanguardie o contemporanee, anche se in contrapposizione.
Quando si parla dell’arte spesso si parla anche di filosofia, perché l’arte e la filosofia sono poco scindibili tra loro e molte volte sono i “giudici” di un’epoca: sono l’espressione più critica di loro stesse e del loro tempo.
L’arte in “senso generale” non è mai fuori dal suo tempo. Può sembrare pleonastica quest’affermazione, ma prendi una qualsiasi corrente artistica di qualsiasi periodo e scoprirai che gli eventi storici determinarono la sua ascesa o la sua fine.
Questa considerazione ci permette di comprendere più in profondità che dietro ogni opera d’arte c’è un essere umano con i suoi pregi e le sue contraddizioni; spesso si cade nell’errore di pensare all’artista come un’entità a sé, non riflettendo che i quadri possono essere astratti, ma non le donne e gli uomini che li creano.
Perché allora l’arte in generale non può essere viatico di auto-emancipazione? È fatta da donne e uomini che, attraverso la loro trascendenza nell’esternare il loro atto creativo, possono cambiare i pensieri di altri esseri umani.
I poteri hanno sempre temuto l’arte; gli stati o i poteri ecclesiastici hanno sempre cercato di comprare l’alto valore propagandistico che può scaturire da un’opera d’arte, e naturalmente non sto parlando solo di pittura, ma di tutte le forme artistiche visive e non.
Ci hai detto che ti senti vicino all’Arte Informale, perché?
Nell’Arte Informale il quadro è considerato una superficie “reale” e non più “virtuale”: uno spazio dove trascendere la propria sensibilità ed immaginazione. La pittura diventa coscientemente testimonianza dell’inconscio, dell’essere e dell’agire, sostanziandosi in una pulsione sentimentale, una registrazione di un momento di vita reale.
Quest’aspetto filosofico si “materializza”. Tutto quello che era ed è stato il concetto dell’arte viene capovolto, dando libero spazio al sentimento più che alla tecnica, esprimendo e costruendo l’immaginazione del proprio inconscio.
Il gesto del pittore che nega la superficie come superficie virtuale, negando nei fatti la realtà, potrebbe essere interpretato come “negazione”, ma, nell’Arte Informale, credo che si possa leggere come “affermazione”, poiché è soprattutto una registrazione di istanti-emozioni, di improvvisazione, di pittura in sequenza, di esplosione subitanea, di libero slancio vitale dell’individuo; la fuga dalla realtà diventa un riappropriarsi della propria identità come artista, com’essere umano.
Parlaci della tua attuale ricerca artistica.
Questa ricerca si basa sull’analisi cromatica della materia/colore e le sue percezioni visive. Anche i soggetti figurativi, stampati, fotografati o dipinti, diventano complici consapevoli, perché anch’essi diventano nell’insieme del quadro in un certo senso materia/colore, in continui mutamenti cromatici, materici, che fanno percepire le vibrazioni del lavoro svolto. Dal gesto espresso o dall’apparente falsa staticità di alcuni soggetti, si arriva a superfici che accolgono la materia/colore; ed ecco che la materia/colore trova la sua dimensione, completandosi, contestualizzandosi in uno spazio dove è valorizzato il singolo soggetto, attraverso l’insieme.
Tutte le soggettività diventano, grazie a se stesse e alle altre componenti del quadro, protagoniste decontestualizzate e ricontestualizzate di un nuovo spazio in grado di formare un assieme di soggettività; nell’unione le parti si dimenticano delle differenze, anzi, le valorizzano, si compattano per il “bene comune”, dove le soggettività si compongono e si scompongono, in un flusso simpatetico, in un equilibrio dinamico.
Se vuoi è un auspicio per l’umanità: tante soggettività complesse, ma un’unica specie unita nel superare i propri limiti per un’auto-emancipazione il cui fine ultimo è la profonda consapevolezza dell’Essere.
Un’altra peculiarità di questo percorso sono i continui mutamenti visivi colti da chi li osserva, secondo la propria posizione e secondo il proprio gusto; le vibrazioni date dal gesto o dalla stessa materia/colore che muta attraverso la luce e le ombre, rendono protagonista chi l’osserva, che cerca con lo sguardo il suo spazio, il suo colore, la materia più consona a se stesso.
Un cammino dell’inconscio, non solo mio, ma di chi scruta il quadro, che soggettivamente ne diventa protagonista attraverso le proprie sensazioni.
Non credo nell’arte della sofferenza, del “genio e sregolatezza”, penso più ad un’arte che possa essere un’affermazione dell’individuo, che liberi la propria radice utopica attraverso la propria sensibilità, aspirando ora più che mai ad un mondo nuovo, un mondo migliore; ogni mio quadro nel suo micro racconta un mondo come se ogni pezzo potesse rappresentare un essere umano con le proprie particolarità, le proprie peculiarità.
L’atto creativo in genere, l’approccio alla creatività, è quasi sempre una trascendenza nell’agire, nel rappresentare il proprio pensiero, in una continua aspirazione al miglioramento, affrontando quel binomio ragione-sentimento, spirito-materia che ogni essere umano possiede, dando vita a quella ricerca del bello e del bene in una continua trasformazione.
Credo in un’arte della vita, che unisca i popoli e le etnie, che mostri il lato migliore dell’umanità, che dimostri che cambiare è possibile, “perché no,” anche attraverso l’arte. Un’arte che abbia quella tensione all’autosuperamento che ci contraddistingue come specie, provando ad affermare che l’arte è operare più che fare, è essere più che apparire.
Se l’arte è operare più che fare, cos’è allora un’opera d’arte?
Cos’è un’opera d’arte? Sarei presuntuoso a dare una risposta a questa domanda; per secoli filosofi e studiosi d’ogni categoria hanno provato a rispondere. E delle molte definizioni che ho letto le più sagge o le più “scaltre” non definiscono un’opera d’arte con esattezza, come si definirebbe una regola matematica o una formula scientifica.
Forse il segreto dell’arte è esattamente questo, non poter essere definita. Un’opera d’arte è arte, non esiste un’altra definizione che colmi ogni dubbio e che sia inopinabile.
Però posso dire cosa è per me un’opera d’arte; è la trascendenza dell’essere umano nell’esternare la sua utopia e la sua guisa, ma allo stesso tempo proponendo non solo estetica, non solo abilità tecnica o capacità manuali, ma concetti e contenuti.
L’arte dà da pensare, più di qualunque altro pensiero compiuto. Questo perché non è solo conoscenza in senso stretto del termine: se fosse solo conoscenza potremmo considerarla in maniera tecnicista, invece un’opera d’arte, come sappiamo, è oltrepassare i limiti della propria conoscenza, attivando i suoi concetti. Esattamente perché continua a farci pensare, se vogliamo essere più precisi, possiamo affermare che ogni opera d’arte offre a chi l’osserva la possibilità di un dialogo, potenzialmente illimitato; un dialogo mentale, ma pur sempre un dialogo.
Credo che un’opera d’arte sia materia e spirito, l’energia che emana, che sprigiona, va ben oltre quello che vediamo attraverso i nostri occhi, semmai è importante proprio quello che non vediamo, ma che siamo in grado di intuire attraverso le nostre emozioni.
Ma quello che maggiormente mi interessa è che un’opera d’arte è forse la cosa più vicina a quel processo embrionale che ogni essere umano ha sin dalle sue origini, anche se non sempre ne è consapevole, che si chiama tensione alla vita; un processo connaturato al desiderio dell’autosuperamento, in altre parole la tendenza all’evolversi, all’emanciparsi, a scoprirsi nella sua identità più profonda.
Perché l’arte, anche nelle sue contraddizioni, è socialità allo stato “crisalide”; ogni artista si esprime per se stesso, ma soprattutto per gli altri, poiché ogni artista desidera mostrare il proprio lavoro, facendo della sua arte la sua proiezione verso l’esterno.
Come vedi il cerchio si chiude, torna alla sua origine, l’arte come impegno/lotta/denuncia per un mondo migliore. L’arte per l’umanità può essere lo “strumento” per esternare una delle sue qualità migliori, la propria voglia d’affermazione, la tensione alla vita, nel pronunciare l’atto creativo, nel suo farsi, esaltando l’unicità, l’individualità al servizio della comunità.
È stato un incontro interessante tra due artisti che anche se con percorsi distinti, hanno concetti comuni nel pensare l’arte, vorrei concludere come tuo ex professore, quando all’Istituto d’Arte di Firenze abbiamo vissuto anni coraggiosi nel cercare nei propri ruoli di affermarsi, di emergere.
Vladimiro, un allievo che ha mantenuto le promesse.
MARCO MARCHIANI MAVILLA